2002
SEI PERSONAGGI IN CERCA D’AUTORE di Luigi Pirandello
RESTAURO DI UN MISTERO
(Roma – Teatro Agorà, 13 – 23 marzo)
COSÌ È (SE VI PARE) – I GIGANTI DELLA MONTAGNA di Luigi Pirandello
(Pirandelliana, Roma – Basilica dei Santi Bonifacio e Alessio all’Aventino, 11 – 28 luglio)
COSÌ È (SE VI PARE)
LA PARABOLA
«Parabola» – l’unica che mi sia veramente cara ebbe a dichiarare un giorno Pirandello – fu definita dall’Autore la vicenda drammatica che egli trasse dalla sua novella La signora Frola e il signor Ponza, suo genero, proprio per l’insegnamento morale che suggerisce: la storia dell’una (la signora Frola), che dice viva la propria figlia creduta morta dal genero e a lui ridata in moglie, ma come fosse un’altra donna, è altrettanto vera quanto la storia dell’altro (il signor Ponza) che afferma sia pazza la suocera, la quale ritiene viva la figlia, mentre è morta da quattro anni.
La scena è un salotto provinciale brulicante di impiegati di prefettura conformisti e di meschine signore benpensanti che si muovono come pupazzi, si dilaniano in una innaturale ricerca della verità.
Si fanno ricerche, ma Pirandello ha cancellato documenti e testimoni. Non esistono né il certificato di morte della figlia della signora Frola, né tantomeno quello di un secondo matrimonio del signor Ponza. La situazione potrebbe essere chiarita solo dalla diretta interessata, la signora Ponza, che rende la situazione ancora più complicata dichiarando di essere sia la moglie del signor Ponza che la figlia della signora Frola.
– Ah, no, per sé, lei, signora: sarà l’una o l’altra!
– Nossignori. Per me, io sono colei che mi si crede.
NOTE DI REGIA
Ma insomma, ve lo figurate? C’e da ammattire sul serio tutti quanti a non poter sapere chi tra i due. Sono, vi giuro, seriamente costernato dall’angoscia in cui vivono da tre mesi gli abitanti di Valdana, e poco m’importa della Signora Frola e del Signor Ponza, suo genero. E certo una consolazione meglio di questa non se la potevano dare. Ma dico di tenere così, sotto quest’incubo, un’intera cittadinanza, vi par poco? Togliendole ogni sostegno al giudizio, per modo che non possa più distinguere tra fantasma e realtà. Un’angoscia, un perpetuo sgomento. (dalla novella La signora Frola e il signor Ponza, suo genero)
– E’ mia vecchia abitudine dare udienza, ogni domenica mattina, ai personaggi delle mie future novelle – Comincia cosi la novella di Pirandello La tragedia d’un personaggio, e da qui incomincia la regia. Supporre e credere che i patti tra i personaggi del Così è (se vi pare) – quella “domenica mattina” – siano stati diversi da quelli ritenuti per ottantaquattro anni, per cosi scrollare di dosso alla commedia del 1917 tutti quegli strati di maniera e di eleganti sofisticazioni che le innumerevoli messinscena sono riuscite ad applicarvi sopra.
La scena – Pirandello raccontò che l’idea della novella gli era venuta dall’immagine di un cortile, profondo e nero come un pozzo – qua e là qualche intonazione liberty, contro le pareti un pannello come la facciata di un palazzo e sul fondo il taglio di uno specchio contro il guscio di un uovo a suggerire un salotto perbene. Immesso un breve antefatto, si è separata ed evidenziata la parabola, pezzo per pezzo, come un sublime giocattolo, riproponendola tutta quanta dentro ogni particolare. La scena è una sorta di tabula rasa sulla quale s’imprimono, via via, concetti già saputi, avvenimenti già visti, recuperati al presente da un caso fortuito, ma già accaduti in epoche comuni all’intera specie. Vestiti grigi e neri – tutti uguali – per le signore e i signori, per un giuoco tra marionette futuriste e personaggi antichi di un coro greco, fedeli alleati con l’Autore. La verità impossibile sta in casa di un limbo che ospita peccati e peccatori, buoni e cattivi, fantasmi e uomini, attori e personaggi; essa e trasparente sul finale, illuminata in controluce. E’ un palcoscenico totale, un arsenale delle apparizioni in cui si dipanano i momenti intensi di un Novecento teatrale.
Non è gran filosofia affermare che siamo come gli altri ci vedono. Pirandello e geniale in ben altro, nell’amplificazione drammatica dei postulati, nella tensione poetica del sottotesto. La “parabola” è un capolavoro non per il dettato filosofico, ma per i fantasmi esistenziali che aduna. Chi non sia un semplice trascrittore, accetta il fascino del teatro e lo ripropone come interpretazione della vita, non guasta in nome di una verità volgare, di fatto prodigio di una realtà che nasce, evocata, attratta, formata dalla stessa scena. La regia riconduce tutto al palcoscenico, al vuoto senza protezione. Non sono state infittite ombre e fantasmi. E’ un coro di marionette che si abbatte sul silenzio delle vittime abili nel togliere ogni sostegno al giudizio, per modo che non si possa più) distinguere tra fantasma e realtà. E’ una partita a scacchi pari che punta sul ritmo. Anche la grande ambizione pirandelliana di far diventare assioma per pochi secondi un personaggio, è un atto di fede che sfugge, per la sua trasparenza, ai dati anagrafici. Il Cosi è (se vi pare) proclama la fiducia naturalistica in ciò che si vede, in un mondo certo a tre dimensioni. Oltre c’è il disordine, c’è il senso di un grave disastro: la sciagura, la disgrazia, gli abiti a lutto, la pazzia, un dolore impenetrabile. Quell’ordine respinge tutto. La regia ha fatto esplodere domande cattive, supposizioni, ipotesi, congetture e silenzi antichi; ha costruito un’inquisizione meccanica, collocando la coscienza, meglio il progetto dell’azione, in uno spazio elementare: e un “filosofo”, o un capocomico che rasserena il pubblico affondato nell’incapacità di capire, lo consola. E’ un supremo inquisitore che mette sotto scacco attori e spettatori senza abbattere la quarta parete.
II problema della solitudine umana, dell’incomunicabilità, della verità, quella da ciascuno di noi creduta in un dato momento e in determinate circostanze, la liquidazione del principio di identità, I’angoscia dell’essere sempre differenti da se stessi, trovano risoluzione nelle linee futuriste della scenografia, nei tanghi come musiche primordiali e nei costumi che contengono le curve dei gusci dell’uovo. In tutta la messinscena l’umorismo è uno strumento critico e un elemento aggregante attraverso il quale i misteri dell’anima e lo struggente teorema del testo si ricollegano per vie sotterranee alla tragedia greca e preannunciano le inquietanti suggestioni del dottor Freud.
DAGLI APPUNTI DEL REGISTA …
… Cosi è (se vi pare), la più, pirandelliana delle commedie del grande scrittore di Girgenti, è una delle più grandi prove di teatro di ogni tempo. La verità è inconoscibile, non c’è al mondo una verità assoluta, essa è sempre relativa per ciascuno di noi, nell’intimo della nostra coscienza e non negli aspetti esteriori, mutevoli e ingannevoli della realtà e della cronaca di ogni giorno. è impossibile per gli uomini giungere a scoprirla per quanto essi si affannino e si accaniscano balordamente a cercarla. Lamberto Laudisi con il suo spirito indagatore e scettico che irride alla curiosità vuota e maligna dei mediocri è Pirandello.
Ora, ammettiamo che Frola e Ponza, i nomi sono di convenzione, siano stati, invece, due attori di teatro e non due poveracci scampati al terremoto che ha distrutto un paesello della Marsica e che Laudisi un giorno li abbia ingaggiati per irridere la gente di Valdana, si chiama cosi nella novella la cittadina dove si conclude la “parabola” …
L’ironia di Pirandello si appunta sulla “gente che sa”, sul “qualcuno che sa”, mentre in effetti non sa nulla. E perciò che ogni atto si conclude con la risata scettica, mefistofelica e ironica di Lamberto Laudisi sull’umana scioccheria, sulla folle presunzione di coloro che credono di poter pervenire alla scoperta di una verità. I veri pazzi sono loro e non i due personaggi che si sono presentati con tanta umana simpatia, affettuosamente e pietosamente legati e consolantisi nella disgrazia comune, nella illusione che li avvicina.
… Ma insomma, ve lo figurate? C’è da ammattire sul serio tutti quanti a non poter sapere chi tra i due. Sono, vi giuro, seriamente costernato dall’angoscia in cui vivono da tre mesi gli abitanti di Valdana, e poco m’importa della Signora Frola e del Signor Ponza, suo genero. E certo una consolazione meglio di questa non se la potevano dare. Ma dico di tenere così, sotto quest’incubo, un’intera cittadinanza, vi par poco? Togliendole ogni sostegno al giudizio, per modo che non possa più distinguere tra fantasma e realtà. Un’angoscia, un perpetuo sgomento …
È scritto proprio così nelle prime battute della novella “La signora Frola e il signor Ponza, suo genero”; ecco perché la regia ha rimuginato e concluso che quel birichino di Agrigento avesse stabilito con i suoi personaggi dei patti diversi da quelli ritenuti da tutti per ottantaquattro anni; poi, la conclusione di Laudisi:
… Voi, non io, avete bisogno dei dati di fatto, dei documenti, per affermare o negare! Io non so che farmene, perché per me la realtà non consiste in essi, ma nell’animo di quei due, in cui non posso figurarmi di entrare, se non per quel tanto che essi me ne dicono … E chi dei due? Non potete dirlo voi, come non può dirlo nessuno.
E non già perché codesti dati di fatto, che andate cercando, siano stati annullati – dispersi o distrutti – da un accidente qualsiasi – un incendio, un terremoto – no; ma perché li hanno annullati essi in sè, nell’animo loro, creando lei a lui, o lui a lei, un fantasma che ha la stessa consistenza della realtà, dove essi vivono ormai in perfetto accordo, pacificati. E non potrà essere distrutta, questa loro realtà, da nes-sun documento, perché essi ci respirano dentro, la vedono, la sentono, la toccano!
– Al più, per voi potrebbe servire il documento, per levarvi voi una sciocca curiosità. Vi manca, ed eccovi dannati al meraviglioso supplizio d’aver davanti, accanto, qua il fantasma e qua la realtà, e di non poter distinguere l’uno dall’altra!
Personaggi
Lamberto Laudisi
La signora Frola
Il signor Ponza, suo genero
La signora Ponza
Il consigliere Agazzi
La signora Amalia, sua moglie
Dina, loro figlia
La signora Sirelli
Il signor Sirelli
Il signor Prefetto
Il commissario Centuri
La signora Cini
La signora Nenni
Interpreti
Marcello AMICI
Nicla DI BIASE
Marco BALDASSERONI
Francesca GIORDANO
Marco VINCENZETTI
Michela SCROCCA
Veronica ATTANASIO
Elisabetta CIANCHINI
Umberto QUADRAROLI
Alessio ALFANO
Emiliano DE VENUTI
Daniela VANCHERI
Rita GIANINI
I GIGANTI DELLA MONTAGNA
LA STORIA
Nella villa della Scalogna, solitaria in una valle deserta, vivono il mago Cotrone e i suoi Scalognati, gente strana che guarda la realtà con occhi trasognati.
Sono venuti nella valle per vedersi vivere quali credono di essere. Campano di sogno e di poesia.
Giungono un giorno alla villa Ilse Paulsen, un’attrice, il marito di lei e pochi compagni. Sono i superstiti di una compagnia teatrale, diseredata dopo aver tentato invano di rappresentare il dramma La favola del figlio cambiato. L’opera è stata scritta da un giovane poeta innamorato di Ilse che poi si è ucciso perché respinto dall’attrice. Cotrone invita gli attori a fermarsi alla Scalogna, nel regno della poesia, dove i sogni dell’arte si realizzano. Ma Ilse Paulsen, la Contessa, vuole proseguire la sua missione per portare altrove quella tragedia che e diventata per lei tormento e vita.
Termina qui la stesura della commedia concepita “incompiuta”.
NOTE DI REGIA
In un dramma come I Giganti, che già dalle primissime battute è all’estremo della concitazione, si può giungere a eccessi di tono, come una musica che non sa più ridiscendere da certi acuti strazianti. Se scaldata, la materia del Giganti può perdere ogni riconoscibile segno, può diventare inarticolata come un grido o come una luce. La regia, dentro un “tempo” di recitazione così convulso, è stata molto attenta nel ricercare ogni minima accentuazione interna per non coinvolgere tutto nella furia verbale o in una sorta di intellettuale esasperazione.
Gli Scalognati e La compagnia della Contessa s’incontrano, si guardano, si vedono come in uno specchio, si scambiano le loro esperienze di interpretazione e di invenzione della verità in un susseguirsi di rappresentazioni esaltate come baratti. Come interpretare l’incontro tra il mondo dei fantasmi e dei sogni e quello degli attori, convinti di poter ancora parlare a una società di tecnocrati con la voce dell’arte? Mentre si sviluppa sul palcoscenico tra le due comunità uno scambio di illusioni e di incantesimi, si crea sulla scena con luci e musiche una tensione prodigiosa dove tutti sono in attesa di chissà quale miracolo. L’aria che si respira non è raddensata, viene della Grecia di Socrate e dei Sofisti. Tutto è un affascinante filosofare, è tragedia comica o commedia tragica. È teatro pirandelliano per il quale sono stati inventati tempi diversi man mano che si passa dal mondo dei fantasmi a quello rarefatto degli attori. Spiega tutto Cotrone: il giorno e abbagliato; la notte è dei sogni e solo i crepuscoli sono chiaroveggenti per gli uomini.
Ma chi sono i personaggi? La regia ha curato con attenzione la risposta. Artisti dell’esistenza, professionisti della fantasia, gli attori. Gli Scalognati, invece, sono personaggi strani che vivono solo di capacità evocative che svolgono sotto la guida del mago Cotrone che maneggia con abilità, come Prospero ne “La tempesta”, la stoffa di cui son fatti i sogni. Sul palcoscenico c’è sempre il teatro, il luogo delle finzioni, ma gli Scalognati non si identificano con la scena e i suoi trucchi illusori. Quando spuntano gli attori vaganti della Contessa, la regia ricalca l’arrivo dei Sei personaggi. I loro racconti diventano drammi interpretati, brani di vita non più veri, recitati. Da una parte il fuoco spento – qua e la una scintilla – dei comici che cercano un’anima vera come si cerca un vestito per un ballo in maschera.
Dall’altra il fuoco inebriante di Cotrone, il fuoco dei semplici, il fervore dell’accattone, la passione della vecchietta: tutte quelle faville che sono in una sera d’estate fra pianta e pianta, nelle pietre delle case che assorbono i sogni e le voci che sono in noi e che non conosciamo, che ci sollevano e ci fanno cadere. La sala delle apparizioni: scricchiolio di cose immobili che al contatto dell’uomo si vivificano in una assurda e penosa apparenza. Spiriti gentili e spiriti maligni. Specchietti dell’infanzia perduta. In quale angolo si potrà incominciare a vivere l’innocenza del fanciullo che è in noi? Facce e maschere che dipanano inquietudini.
Ogni cosa si mescola: memorie, voci, illusioni, giochi d’animo e giuochi di logica, l’eccentrico e il consueto. E poi un canto celestiale. E la delicata e precipitata vita dei sogni che si associa e si dissocia. L’anima che se ne esce dal dormiente e se ne va in giro, come una pazza, a far tutto quello che nella vita è proibito. L’anima si impicca. L’anima, per una notte, si libera della morte e vive esistenze rapide. Nessuna cosa e chiara in questo mondo. Solamente il fanciullo e il poeta.
Poi l’intera allegoria diventa un grande abbozzo metafisico in cui Pirandello e il centro. Il dritto e il rovescio della logica non intervengono più, non c’è più logica nell’ordine delle figurazioni, ma un libero gioco, un aereo e fantomatico concerto a più voci, incluse le maschere e l’Angelo Centuno. Non per niente l’uomo di Girgenti fa parlare gli angeli.
Era giunto il momento, Pirandello stava per passare dall’altra parte con il suo innocente vezzo dell’opera incompiuta, compiuta invece tra tutte le opere piè compiute. II ballo dei fantocci, la piccola folla dei bizzarri personaggi dai quali, quando sono addormentati, escono i loro stessi fantasmi per vivere in sogno. Polvere d’oro, che si solleva dallo stupefacente ingegno dell’Autore per diventare per la regia una realtà immaginaria e un reale illusorio. Quando sul fragore della cavalcata dei Giganti che scendono a valle la tensione del mito raggiunge il massimo della sua iridescente angoscia, quando la realtà dei Giganti diventa paura, la regia fulmineamente li esclude e li vince con una fervida intuizione.
DAGLI APPUNTI DEL REGISTA …
… per assaporare il gusto dei Giganti è necessario rifarsi a quel dualismo tra vita e forma che e uno dei motivi fondamentali dell’opera pirandelliana a partire da II fu Mattia Pascal, ossia alla necessità della vita di calarsi, di consistere in una forma e al tempo stesso di esaurirvisi per le limitazioni della forma stessa. Ogni forma è la morte … Noi tutti siamo esseri presi in trappola, staccati dal flusso che non si arresta mai e fissati per la morte, aveva scritto Pirandello nella novella La trappola. Il corpo non è altro che un aspetto di questa trappola e per liberarsene gli Scalognati fanno i fantasmi, dicono di infrangere la forma corporale secondo quanto detta dentro il fermento perpetuamente instabile e irrequieto dello spirito.
A regolare questo che non è un folle giuoco, bensì una meravigliosa e sovrumana realtà che aliena il gruppo dal mondo, c’è Cotrone che conosce l’arte sottile e diabolica di far venir fuori dal segreto dei sensi e dalle caverne dell’istinto tutte le verità che la coscienza rifiuta … Voi attori – dice il Mago a un certo punto – date corpo ai fantasmi perché vivano, e vivono! Noi facciamo il contrario: dei nostri corpi, fantasmi. E li facciamo ugualmente vivere. I fantasmi … non c’è mica bisogno d’andarli a cercare lontano; basta farli uscire da noi stessi… desideri, rimpianti, tutte le fantasie dell’oscuro e bulicante mondo del subcosciente e del sogno prendono corpo per gli Scalognati nella consistenza di realtà vive e viventi.
Per dimostrarlo, Cotrone compie prodigi … per Ilse evoca il fantasma del Poeta … Niente paura: e l’attore Spizzi che si è truccato ubbidendo a un intimo impulso del cuore innamorato della Contessa. Cotrone dimostra, così, come ciascuno ami mascherarsi secondo l’apparenza che più gli si addice e fare il fantasma per evadere dalla mortifera prigione del proprio corpo. Ma un conto è la maschera, un conto il personaggio! Infatti, con un ritorno alle premesse dei Sei personaggi in cerca d’autore, Cotrone sostiene che il miracolo vero d’uno spettacolo teatrale non è mai la rappresentazione (la necessità di consistere in una forma), ma sempre e solo la fantasia del poeta in cui i personaggi sono nati … nati così vivi da poterli vedere anche senza che ci siano corporalmente. Per tradurre questi personaggi sulla scena non è necessario che ci siano gli attori: possono bastare dei semplici fantocci, purché in essi si incorpori lo spirito del personaggio. E così avviene.
Non appena Ilse incomincia a recitare la scena si abbuia e, come per un tocco magico, si illumina di nuovo popolata di personaggi … La prova si interrompe al sopraggiungere degli attori stupiti e meravigliati … è a questo punto che si ode potentissimo da fuori il frastuono della cavalcata dei Giganti della Montagna …
Finisce qui l’azione ed inizia il confronto tra materia e palcoscenico, tra materia e spirito … In verità, le due Compagnie, gli Scalognati e i Comici, sono fatte per intendersi. Creatori di fantasmi (poeti) i primi, realizzatori di fantasmi i secondi (è Cotrone che parla); ma tanto gli uni che gli altri sono condannati a non essere compresi dal volgo, a non sentirsi amati.
La teoria del Mago: … meglio lasciare II mondo dov’è e chiudersi tutti insieme in quella villa, col solo cielo sul capo e l’erba sotto i piedi. Ognuno vivrà delle proprie illusioni, s’annullerà nel proprio sogno, come la Sgricia che già cammina tra gli angioli, come Ilse, perché altri non potrà essere se non la madre della sua favola dolorosa.
Cotrone (Pirandello ha scritto che deve avere barba e piedi dolenti!) tiene viva in tutti una perpetua sbornia di sogni, con il suo cuore di “fanciullo” … per opera e invenzione sue la Scalogna è una specie di arsenale miracoloso, dove tutto si crea: la magia lunare, II silenzioso vagare delle lucciole e quell’alidore bianco dal quale nascono i fantasmi … in quest’aura stregata gli Scalognati possono benissimo vivere fuori d’ogni impaccio reale, come sola espressione delle proprie innocenti fissazioni o chimere, come la Sgricia che non saprà mai che, purtroppo, le rimane, fra l’altro, ancora di morire … Cotrone incanta. Affinché la lusinga sia fatale, il Mago fa nella notte i sortilegi più inauditi, evoca le ombre piè remote: i sogni degli ospiti dormienti abbandonano i corpi per vivere staccati nei silenzi lunari, dopo di che i corpi svegli s’incontreranno con le proprie strambe visioni, come accade a Spizzi, che, avendo sognato d’essersi impiccato, s’imbatte poi con sé medesimo penzolante stecchito da un albero! Ma Ilse riprenderà la sua strada senza pace, continuerà il suo calvario inebriante con tutti gli attori della sua Compagnia.
Li chiamano senza posa quelle stesse folle che Ii respinsero, che Ii respingeranno sempre. Non importa: il loro posto e là! Cotrone lascia la Scalogna per accompagnare i nuovi compagni a ritentare tra le gente.
… Marta mia (scrive Pirandello a Marta Abba il 19 maggio 1930, da Berlino, per i Giganti) … sto scrivendo con una cosi disperata esaltazione, che ogni controllo mi manca, sono come in preda a un vento che mi porta in alto, in alto (questo lo sento) e lontano, lontano … (prosegue da Berlino il 30 maggio 1930) … I giganti della montagna sono il trionfo della fantasia! II trionfo della Poesia, ma insieme anche la tragedia della Poesia in mezzo a questo brutale mondo moderno … (poi da Parigi 27 gennaio 1931) … o ho per mia disgrazia uno sguardo che penetra e due occhi da diavolo. Tu me li conosci bene
(e sempre da Parigi il 10 febbraio 1931) … mi sento asceso in una sommità, dove la mia voce trova altezze d’inaudite risonanze. La mia arte non è stata mai cosi piena, cosi varia e imprevista: cosi veramente una festa, per lo spirito e per gli occhi, tutta palpiti lucenti e fresca come la brina …
E l’atto si chiude sul rombo dei Giganti che scendono a valle! Dopo? Sappiamo che doveva scoppiare una tragedia. Stefano, il figlio del Maestro, raccontò che tra le ultime visioni di Pirandello morente era la tavolata colossale dei Giganti a banchetto dinanzi a un palcoscenico chiuso da un sipario teso tra due olivi saraceni, da dove, per una platea satolla e opaca, una Ilse inerme avrebbe tentato di svelare il fiore segreto del suo infelice poeta. Ma poi? Come si sarebbe risolto il conflitto? La risposta la rapì la morte, il 10 dicembre del 1936.
Cotrone
La compagnia della Contessa
Ilse, detta ancora La Contessa
Il Conte, suo marito
Diamante, la seconda donna
Cromo, il caratterista
Spizzi, l’Attor giovane
Battaglia, generico-donna
Lumachì, col carretto
Gli Scalognati
La Sgricia
Quaqueo
Duccio Doccia
Milordino
Mara-Mara
Maddalena
Marcello AMICI
Francesca GIORDANO
Alessio ALFANO
Nicla DI BIASE
Marco VINCENZETTI
Emiliano DE VENUTI
Umberto QUADRAROLI
Francesca GIORDANO
Michela SCROCCA
Marco TONETTI
Veronica ATTANASIO
Marco BALDASSERONI
Daniela VANCHERI
Rita GIANINI
Regia di Marcello AMICI
Aiuto regia: Francesca GIORDANO – Luci e fonica: Chicco DE BIASE – Costumi: Natalia ADRIANI
Scene: Marcello AMICI – Direttore di scena: Marco VINCENZETTI
Amministrazione: Marco SALIETTI e Rosemarie DELLA SCALA
Musiche originali: Marco BALDASSERONI
Organizzazione: Paola AMICI e Mauro CIUCO – Foto: Franco TROIANI e Massimo MERCATI
AR.COM.ED. di Luigi BURELLI
Direzione artistica di Natalia ADRIANI
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